Cosa penso della guerra in Ucraina
Il regime russo è violento e le democrazie indignate che accendono candele sono pericolose tigri di carta. Ora pagheremo il prezzo della nostra vanità intellettuale
"Certo, non faremo nulla." Questa fu l'ammissione di Claude Cheysson, ministro degli Esteri di François Mitterrand, dopo il colpo di stato in Polonia nel dicembre 1981. Durante la Guerra Fredda, tutti sapevano che l'America e i paesi liberi non potevano risolvere ogni crisi. Quando l'Unione Sovietica invase l'Ungheria nel 1956 e di nuovo quando i sovietici usarono le forze del Patto di Varsavia contro la Cecoslovacchia nel 1968, i leader occidentali riconobbero che c'era poco da fare. Ciò non significava manifestare indifferenza morale per le sofferenze dei cechi, degli slovacchi e degli ungheresi, che oggi sono fra gli europei più veri e forti nella propria identità. Oggi è lo stesso dietro i paroloni e gli slogan altisonanti del campo occidentale, più pusillanime che mai, dopo la guerra terribile di Putin all’Ucraina.
Le democrazie indignate sono tigri di carta. Si accontenteranno delle solite proteste e sanzioni economiche, che saranno fatte pagare interamente alla classe media e alle piccole e medie imprese. Se la minaccia è davvero quella descritta dall'Unione Europea e dagli Stati Uniti, doveva essere necessaria la mobilitazione militare. Ma, come dice lo storico francese Jean-Francois Colosimo a Le Figaro, “gli Occidentali non hanno alcun desiderio di sacrificare la vita di un solo soldato per difendere l'integrità dell'Ucraina”. Putin lo sa: è libero nelle sue azioni, di fronte a un campo disarmato. Il padrone del Cremlino riesce a malapena a controllare il disprezzo che gli ispirano questi chiacchieroni che accendono candele, cantano inni che non capiscono ed espongono bandiere giallo-blu.
Dov’erano i chiacchieroni, un anno fa, quando gli azeri e la Turchia (il secondo esercito della Nato) massacrarono 5.000 armeni nel Karabakh dove era nato l’alfabeto armeno (un’altra autoproclamata repubblica in barba ai confini internazionali) e in assenza del sostegno del "blocco democratico" occidentale l’Armenia democratica ebbe bisogno dell'autoritaria Russia per sopravvivere all’autoritaria Turchia?
Certi riflessi restano irresistibili a Occidente, non solo tra i politici ma anche nei media. Uno di questi è la tendenza a vedere ogni conflitto come una “nuova seconda guerra mondiale”. Un altro è credere che una “forza sufficiente” e una "risolutezza" possano raggiungere qualsiasi obiettivo, che si tratti dei nostri obiettivi in Iraq o in Afghanistan. E un terzo è l'abitudine di considerare coloro che non si allineano durante i periodi di crisi come traditori o utili idioti dei nemici dell’Occidente.
Questi riflessi sono stati in piena luce con la crisi in Ucraina. "Questa è la regione dei Sudeti", ha detto la presidente della Camera Nancy Pelosi, una che paragonava Trump a Hitler, a proposito del tentativo della Russia di giustificare la sua guerra come difesa delle "repubbliche" separatiste a Luhansk e Donetsk. È un grave atto di aggressione, ma non il nazismo, e l'irredentismo ha tanti altri precedenti (dall’Artsakh armeno conquistato in una guerra offensiva nel 1991 alla Giudea e Samaria israeliane conquistate in una guerra difensiva nel 1967).
Quello che vuole Putin in Ucraina è chiaro: mettere al sicuro le due Repubbliche separatiste dopo la violazione da entrambe le parti degli accordi di Minsk, “smilitarizzare” l’Ucraina e installarvi un potere non ostile a Mosca che suggellerà la “finlandizzazione”.
Sapevamo tutti che la sconfitta americana e della Nato a Kabul sarebbe stata l’inizio di una capitolazione più generale e che Joe Biden non sarebbe stato all’altezza dello choc di civiltà (dalla Libia all’Ucraina, i Democratici americani hanno anche uno strano istinto per generare il caos). Eppure, in tv e sui giornali italiani in questi giorni non si legge una sola analisi sulla debacle americana. Siamo in un clima da crociata moralistica e il prossimo sarà l’Iran nuclearizzato, tanto che Israele, che non esita a bombardare qualsiasi camion militare passi sopra e sotto il Litani, in questi giorni di guerra ucraina non segue il copione americano.
Ha ragione Pierre Lellouche, già presidente dell’Assemblea Parlamentare della Nato, quando su Le Figaro scrive che “alla fine ‘Monaco II’ ha prodotto il peggior risultato possibile. Non abbiamo voluto imparare le lezioni della storia: che non costruiamo la pace umiliando e stabilendoci militarmente ai confini altrui e gli occidentali, in primis gli americani, alla fine avranno consentito a Putin di iniziare a realizzare il suo sogno più caro: ricostruire l'Impero. Per favore, Sir Winston Churchill, torna!”.
Indicare la responsabilità dei paesi europei, della Nato e dell’America più in declino della storia non significa essere al soldo di Putin, significa non accettare di fomentare uno scontro di civiltà con la Russia (John McCain, pace all’anima sua, definì la Russia “una stazione di gas”). Significa non accettare di definire "Hitler" il presidente di un paese di 150 milioni di persone, il più grande del mondo e con cui abbiamo legami culturali ed economici (le parole hanno un peso e "Hitler" va lasciato a chi gassa e uccide milioni, la reduction ad hitlerum è una vuota scorciatoia moralistica, mentre “Stalin” a chi imprigiona e ne uccide milioni nei Gulag). Basterebbe leggere non l'ufficio stampa del Cremlino, ma l'uomo più libero del Novecento, Alexandr Solzenicyn, per capire che questa storia non è bianco o nero. La Russia è molto più di Putin e gli ucraini meritano la libertà che hanno rivendicato per se stessi nel 1991.
Potrei pubblicare il sorprendente messaggio che una amica e una grande storica, Bat Ye’Or, mi ha mandato due sere fa per far capire che non tutti accettano la lettura univoca dei fatti.
Ha ragione Toni Capuozzo, l’unico che sulla pietosa televisione italiana dice cose non banali, e Talleyrand, per il quale "la diplomazia è sapersi mettere nei panni del proprio interlocutore": lo sapevano tutti che l’Ucraina per i Russi non era la Polonia, l’Ungheria, la Romania, l’Estonia e tutti gli altri paesi entrati nell'Alleanza Atlantica e che ora dovremo difendere con un nuovo Vallo di Adriano e che invitarla a entrare nella Nato rischiava di essere un casus belli. Eppure, abbiamo seguito quella strada e non quella del realismo, come chiedevano Henry Kissinger, come chiese George Kennan l’architetto del containment e come chiesero atlantisti europei di vario grado (da Sarkozy a Merkel). Dalla “politica della porta aperta” alla guerra aperta il passo è stato breve. Putin ha fatto esattamente quello che ci aveva avvertito che avrebbe fatto.
La guerra ucraina segna il definitivo fallimento del sistema internazionale post Guerra Fredda, che nei giorni inebrianti del 1989-1991 ci portò a dichiarare la "fine della storia" e l'inizio di una nuova era di egemonia liberale e razionale. La prima grande consapevolezza che non stavamo convergendo tutti alla stessa tavola era arrivata con l'11 settembre e l'ascesa dell'estremismo islamico, che da allora destabilizza l’Europa come i carri armati di Putin.
Il vento dell'Occidente soffia ancora? Ma cosa è diventato questo “Occidente”?
Il regime russo è violento nel suo autoritarismo, centralismo e brutalità (è un paese passato dalla monarchia feudale più longeva della storia alla dittatura del proletariato e poi all'autocrazia in cui i lunghi anni in condizioni di non libertà sono entrate nel loro stesso codice genetico). Biasimare Putin per aver voluto difendere i “suoi” russi (sì, li considera suoi), la sua storia e la sua zona di influenza, non ci farà dimenticare che questi sono valori considerati fuori moda dal “progressismo” occidentale imperante. “Putin è intelligente, i nostri leader stupidi”, ha sintetizzato ieri il solito grillo parlante Donald Trump.
Dobbiamo essere non solo “buoni”, come ci piace tanto essere, ma saggi, se vogliamo aiutare gli ucraini e garantire che la Russia non diventi una Corea del Nord più grande e più letale. Solo il realismo potrà aiutarci a prendere decisioni migliori di quelle che i nostri leader hanno preso dalla fine della Guerra Fredda.
E dobbiamo sapere che la decadenza eccita i nostri nemici.
Nel 2014, mentre Putin faceva sfilare i soldati sulla Piazza Rossa e poi in Crimea, l’Eurovision premiava Conchita Wurst, l'austriaca nata Thomas Neuwirth, transessuale barbuta che i pappagalli della stampa acclamarono come il simbolo dell'Europa "tollerante" e "non discriminatoria", quando era il prodotto dell'ideologia in voga che rifiuta di differenziare tra sessi, culture e popoli, un mondo intercambiabile senza identità. Conchita riassunse la mancanza di ambizione di un'Europa in declino e che si può leggere nel cinico piacere che ora il nuovo zar Putin prova nell'umiliarla sul suolo ucraino.
È la nostra decadente futilità che a Kiev pagano con la vita e noi europei sotto forma di una spaventosa destabilizzazione.
Condivido parola per parola tutto quello che ha scritto, che, finalmente, esce dalla banalità del gossip che riempie le inutili discussioni: Putin bastardo pazzo, Biden scemo.
Cosa ne sarà di questi atteggiamenti quando a breve riprenderanno i negoziati sul nucleare con l'Iran?
Analisi condivisibile. La mia angoscia nasce anche dal vedere una continuità spaventosa con la pandemia. Quest'ultima ha portato via i testimoni del secondo conflitto mondiale, coloro i quali, avevano nel cuore ma soprattutto nella mente le atrocità, la disperazione, la miseria che comporta una guerra. Le nuove generazioni ma anche i fruitori degli anni 80 o quelli del 68, hanno vissuto con l'idea di un benessere perenne, con il progresso ancora di salvezza. La pandemia ha riportato la paura di morire. La guerra, speriamo nella sua non escalation, forse la consapevolezza della fragilità umana, di una libertà non perenne. Quanta ipocrisia durante la pandemia e adesso da parte di chi appare sorpreso di fronte a gesti di coraggio, di solidarietà, di altruismo. Certo, ancora esiste un'umanità che crede nei valori che non siano quelli del vendere e del comprare. Poi, vedo una classe politica figlia delle epoche che ho citato, quindi non pronta, deficitaria. Mi scuso, se l'opinione che adesso scriverò non potrà piacere: ho sempre visto Putin ma anche Erdogan, che possiamo tacciare di autoritarismo, di essere criminali, sanguinari, questi attributi servono a poco, come dei leader conoscitori dei loro rispettivi popoli e storia. Rispetto ai nostri esiste un abisso. Noi, con la pretesa dei diritti universali, della democrazia da esportare, dimostriamo l'incapacità di cogliere l'essenza pura della storia.