Salwan Momika, il rifugiato cristiano iracheno che nel 2023 bruciò una copia del Corano in Svezia, è stato assassinato a colpi d’arma da fuoco dentro al suo appartamento nella città di Sodertalje durante una diretta social. Cinque arresti. “Sto mettendo in guardia il popolo sui pericoli di questo libro, hanno ucciso i cristiani e preso i loro beni”, diceva Momika.
Povero illuso. Come ha appena scritto un coraggioso giornalista di sinistra, “ridiamo del Papa e del suo gregge, mai di Maometto e dei suoi seguaci”.
Poco prima di morire in auto con gli uomini della sua scorta, il vignettista svedese Lars Vilks, che aveva “offeso l’Islam” con un disegno, mi aveva raccontato la sua esistenza di sorvegliato speciale. “Vivo in una località segreta, con cinque poliziotti e un elicottero che mi segue. Se entri nella loro lista non ne esci più”. Oppure ne esci da morto.
A Momika poteva andare anche peggio. Poteva finire come la coppia di cristiani in Pakistan: una donna incinta, madre di tre figli, e il marito, falsamente accusati di aver bruciato pagine del Corano, gettati in un forno di mattoni e arsi vivi.
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