Un grande scrittore, non uno scrittorino da appelli e da Nobel
Kadaré, l'albanese anticomunista che amava l'Europa, non partecipava alla messa cantata del relativismo e autore di un romanzo profetico sull'assedio islamico che oggi non sarebbe mai pubblicato
Uno a uno, dopo Philip Roth, Cormac McCarthy e Milan Kundera, se ne vanno gli ultimi veri grandi scrittori e ci restano soltanto gli scrittorini.
Ismail Kadaré è stato il più importante romanziere albanese del Novecento e ha raccontato il suo paese opponendosi alla dittatura comunista (“un inferno”, scrisse), che lo costrinse a riscrivere un centinaia di pagine dei suoi romanzi.
Legato all’Italia tramite la Divina Commedia, Kadaré, di cui si era spesso parlato come di un possibile vincitore del Nobel per la Letteratura, è morto ieri a 88 anni.
Ma Kedaré era uno di quei rari scrittori, esuli e umanisti, che capiva la posta in gioco del nostro tempo. Non si “portava”. Non firmava inutili appelli, ma in un articolo su Le Monde dopo gli attentati di Parigi del 2015 Kadaré scrisse invece che l’Europa ha “non solo il diritto ma anche il dovere di proteggere se stessa, per se stessa e per tutti gli altri”. Kadaré parlava dell’Europa come del “continente che ha dato più di tutti”. Ma la vedeva preda. “Nonostante la sua aria da grande dama, l’Europa non è mai stata intoccabile. È accaduto addirittura che due delle sue penisole – la penisola iberica e la penisola balcanica – le siano state sottratte con la forza nei secoli che ci hanno preceduto”. Kadaré serché sapeva di appartenere a un popolo che ha perso l’Europa due volte, durante l’occupazione ottomana e la dittatura comunista. “Dobbiamo dire la verità” scrisse Kadaré. “Non possiamo negare che in tremila anni l’Europa ha prodotto dall’80 al 90 per cento dei tesori spirituali”, filosofia, letteratura, arte, democrazia, libertà di espressione.
Tesori spirituali? Il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione in cui si dice che l’Europa è solo una serie di misfatti.
Kadaré sognava un’Europa che non c’è più e diceva che anche il futuro della sua Albania risiedeva nell’Europa dello spirito e della cultura, a causa delle sue antiche radici europee e cristiane. Noi, scriveva Kadare, entriamo di diritto nella famiglia europea dei popoli grazie alla nostra tradizione cattolica sepolta da secoli di Islam e di comunismo. Per questo Kedaré fu accusato anche di “islamofobia”. Come quando ricevette il Premio Gerusalemme.
Nell’assegnare il Nobel del 2021 allo scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah, le parole chiave nella motivazione sono state “colonialismo”, “rifugiati” e “Corano”. Anders Olsson, scrittore e critico letterario che dirige il comitato del Nobel, ha parlato anche della necessità di “abbandonare l'eurocentrismo”.
Kadaré era l’esatto contrario, uno scrittore fiero dell’eurocentrismo e che rigettava la messa cantata del relativismo multiculturale.
“Essere di sinistra è vedere l'Altro, maliano o cinese che sia, etero o gay, cattolico, ebreo o musulmano, zingaro o senzatetto, criminale o pedofilo, come prima simili a se stessi e non diversi”, ha scritto Annie Ernaux, la comunista francese che il Nobel per la letteratura invece ovviamente lo ha vinto nel 2022 al posto di Kedaré. L’Altro non è lo straniero, ma il Medesimo che deve essere protetto dal nostro razzismo e il multiculturalismo ci libererà da una società attaccata alle sue “radici”.
Ma per capire perché Kadaré non abbia vinto il Nobel si deve passare dal suo romanzo profetico, del tutto dimenticato nei pochi necrologi di oggi sulla conformista stampa italiana. Oggi non solo non sarebbe mai pubblicato e, se mai lo pubblicassero, gli varrebbe una condanna a morte.
PER CONTINUARE A LEGGERE ABBONATI ALLA NEWSLETTER
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a La newsletter di Giulio Meotti per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.