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"L'Occidente è diventato un deserto culturale. Entreremo in una nuova era barbarica"

Il Milan Kundera mai tradotto. Così gli scrittori centro-orientali amati da Ratzinger videro per primi la "distruzione della civiltà europea" e conservato un po' di speranza anche per noi

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Giulio Meotti
ago 12, 2023
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Delle utopie diffidavano e non si piegarono al verdetto che espulse l'Europa comunistizzata dal divenire storico, il tempo che si spezza, trasformandola in un cimitero, mentre noi alle utopie credevamo con fervore grottesco. Gli scrittori dell’Europa centro-orientale erano gli unici a evocare il ricordo di quel che l'Europa aveva perso e ancora preservava. Lo dimostra la straordinaria definizione di “europeo” data da Milan Kundera ne L’arte del romanzo: “Colui che ha nostalgia dell'Europa”. E se a Ovest il privato era politico, a Est questi scrittori volevano abolire la ridondanza di politica instaurata dal comunismo nel privato. Havel scrisse sulla “catastrofe della prima civiltà atea”, Milosz sul “suicidio dell’Occidente”, Ionesco sull’“umanesimo post-metafisico”, Brandys sulla “distruzione della civiltà cristiana”, Kolakowski sugli “intellettuali umiliati di fronte alla barbarie”, Szczypiorski sulla “fine delle illusioni illuministiche”…Proponevano di ripercorrerla, l'Europa che ancora esiste. Perché il nulla lo avevano giù vissuto e sapevano che volto assume la barbarie. E come sia già avvenuto, il declino di civiltà. E così l'idea d'Europa fu salvata non dai primi popoli entrati nell'Unione, ma dai popoli nostalgici che oltre cortina fuggivano le stupide rivoluzioni e invocavano le nostre libertà.

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