Le ultime vere femministe sono in Iran
Ma se sperano nell’appoggio delle nostre, comode nel pigiama relativista e per le quali "una donna è più oppressa in Occidente che a Teheran", si rivestano subito e indossino il burqa
Vent’anni fa, il 2 novembre 2004, veniva ucciso ad Amsterdam Theo van Gogh. La sua “colpa” fu di aver realizzato un film, Submission, sulla sottomissione della donna nell’Islam. Una ragazza velata parla di matrimonio combinato, di stupro e della condanna per “adulterio”. Alcuni versetti del Corano sono tatuati sul corpo, la pelle viva solcata dalle frustate. I giudici applicano la sharia. “Cento frustate”. La ragazza piange. “Eravamo ingenui e innamorati. Confidavamo che Allah fosse dalla nostra parte”.
Van Gogh fu sgozzato mentre andava al lavoro e il terrorista, nato e cresciuto ad Amsterdam, gli conficcò una lettera di rivendicazione sulla pancia.
Ho sempre considerato quell’omicidio come l’11 settembre della libertà di parola. Aveva scritto Van Gogh poco prima di morire: “E’ possibile che l’Occidente libero perda la guerra delle idee. Vent’anni fa nel mondo civilizzato girava un film. In quel film la fede cristiana era ridicolizzata. Lo stesso tipo di film su Allah non potrebbe essere girato oggi grazie al nostro multiculturalismo. Ma non penso di essere autorizzato a dirlo”.
E, quasi in una macabra autoprofezia, il Festival di Locarno avrebbe cancellato la proiezione del film costato la vita a Van Gogh, come l’International Film Festival di Rotterdam, la più importante manifestazione cinematografica d’Olanda. Una volta, in piazza Dam, il cuore di Amsterdam, ho trovato in una bancarella il dvd pirata di Submission dentro un involucro nero, senza scritte in copertina. Come una pellicola proibita.
Da allora la battaglia contro la sottomissione della donna è continuata, non più in Occidente, ma in Iran.
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