Il grottesco suicidio del Corriere della Sera
Prima il condensato delle banalità (Roberto Saviano), ora i versi della Greta dell’antirazzismo (Amanda Gorman). Da Fallaci e Montanelli alla demagogia politicamente corretta
Prima, a gennaio, l’assunzione di Roberto Saviano, che già a La Repubblica aveva dimostrato di essere il condensato di tutte le banalità ideologiche, il corista di tutte le messe cantate a sinistra, il giornalista “scomodo” sempre a proprio agio nei panni della battaglia che si porta bene (di solito negli studio di Fazio).
Questa settimana il Corriere della Sera allega le poesie di Amanda Gorman, la poetessa dell’inaugurazione di Joe Biden, i cui versi hanno fatto notizia non per la propria bellezza, ma perché non sarebbero degni di essere tradotti dai bianchi (due casi di dimissioni in Spagna e in Olanda), oltre che per il cappotto giallo firmato Prada che fa sempre molto “democratico”.
E’ il grottesco suicidio del grande quotidiano che, sotto la direzione di Ferruccio de Bortoli, dopo l’11 settembre aveva pubblicato le lunghe intemerate di Oriana Fallaci. Ma forse non è che il naturale epilogo della frenetica corsa a sinistra verso tutte le mode ideologiche iniziata con l’uscita di Indro Montanelli, che andandosene dal Corriere della Sera per fondare Il Giornale si portò dietro i migliori, Enzo Bettiza, Guido Piovene, Raymond Aron, Eugène Ionesco, Jean-François Revel e François Fejtő, fra gli altri.
Uno dei pochi editorialisti rimasti a non bersi qualsiasi cosa passasse il mainstream progressista era Piero Ostellino, che non amava né i partiti né gli spartiti, ma chiedeva che i giornalisti coltivassero un po’ di spirito critico, che è una cosa diversa dalle ammucchiate ideologiche. Ostellino che non a caso nel 2015 se ne era andato dal Corriere dopo mezzo secolo di meritato servizio.
Con l’addio di Montanelli era arrivato Piero Ottone e con lui iniziò quel “giornalismo democratico” che un grande giornalista tedesco ai tempi in cui dirigeva la Neue Rheinische Zeitung sintetizzò così: “Quando avremo realizzato il comunismo e saremo entrati nel regno della libertà assoluta, dovremo tuttavia rassegnarci all'esistenza di un ultimo autocrate: il direttore di questa gazzetta”. Era l’idea di un giornalismo stravolto da un banale pietismo coltivato ad arte per colpire il senso di colpa dei ceti abbienti italiani. Non era già più lo stesso giornale che aveva diretto Giovanni Spadolini.
Si è sempre detto che il quotidiano di Via Solferino è l’organo dei salotti buoni di Milano. Con questa deriva grottesca diventa l’house organ della demagogia politicamente corretta. Aprirlo e trovarci qualcosa di stimolabile oggi è un’impresa.