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I "cafoni" hanno preso a calci il politicamente corretto
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I "cafoni" hanno preso a calci il politicamente corretto

Il tempo di sermoni e anelli al naso è finito. Anche le minoranze votano Trump in nome della libertà. Ma per i media servili, il problema è l'"ignoranza" del popolo che non segue i loro ipocriti ukase
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Joe Biden era in forma come un ragazzino, anzi, “aguzzo come un chiodo”; Kamala Harris, inaffidabile come vicepresidente tanto da farla vedere in pubblico il meno possibile, era improvvisamente diventata perfetta per battere Donald Trump; e l’Iowa era già saldamente Democratica (è finita con 42.2 per Harris e 56.2 per Trump).

Ci sarebbe da scrivere un manuale sul fallimento dei media. Un dirigente televisivo aveva espresso in forma anonima la sua preoccupazione: “Una vittoria di Trump significa che i media mainstream sono morti”.

Un liberal intelligente come Nate Silver, il maggiore sondaggista americano, ha spiegato che il raggruppamento ideologico nelle redazioni dei giornali ha portato al “pensiero di gruppo” e alla perdita di collegamento con la vita dei lettori. “Solo il 7 per cento dei giornalisti si identificano come repubblicani”, ha scritto Silver. Nasce così la echo chamber mediatica, il loro parlarsi addosso.

E infatti c’è un risultato politico e culturale di queste elezioni che è stato totalmente eclissato, perché annichilisce di colpo tutta la “narrazione”.

Nell’antica Roma, l’anello al naso lo portavano gli schiavi in segno di sottomissione (“porti sul volto il segno di una catena“). I Democratici che vivono a Martha’s Vineyard, Montecito e Malibu avevano messo alle minoranze l’anello progressista al naso (“siete schiavi del razzismo sistemico”) per incitarle a votare.

Ma gli schiavi, i “cafoni” Hillbilly, hanno deciso di togliersi l’anello e di rimandare Trump alla Casa Bianca, primo Repubblicano a vincere il voto popolare da vent’anni. Dal 1988 i Democratici non subivano una sconfitta simile.

Così nella terra del Wokistan americano, le minoranze hanno detto basta non solo a Beyonce, Julia Roberts, George Clooney, Oprah, Lady Gaga e Jennifer Lopez, i pesi massimi di Hollywood, ma soprattutto al gioco del “vittimismo competitivo”, l’adesione alla ridicola e pericolosa visione del mondo suddivisa in categorie svantaggiate sulla base di razza, gender e origine. E come nell’antica Roma, gli schiavi hanno reclamato libertà economica, culturale e sociale.

Di seguito proverò a raccontare tutto quello che tutti i nostri media servili non hanno capito (di nuovo) e che non leggerete domani sui giornali italiani, troppo presi a mettere in pagina i commenti di Massimo Giannini, Gianni Riotta e Alain Friedman.

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Giornalista del Foglio dal 2003. Molti libri tradotti all'estero. Gli ultimi sono "La fine dell’Europa" (Premio Capri), "I nuovi barbari", "La dolce conquista", "Il sesso degli angeli e l'oblio dell'Occidente" e "Il Sabato Nero" giuliomeotti@hotmail.com