Gli dei antioccidentali e l'autodistruzione delle democrazie schiave del senso di colpa

“Come un magazine americano è passato da pubblicare Einstein a chiamare i Jedi razzisti”: così il Times della scorsa settimana. Non è parodia. Lo avevo già scritto nella newsletter il 30 novembre: “La carta igienica politicamente corretta seppellirà la cultura occidentale. La rivista di Einstein e 150 premi Nobel pubblica cialtronate su razza, genere e gli ‘elettori fascisti’. Se anche la scienza diventa uno zimbello stupido, non c’è istituzione culturale che si salvi”.

Ora non si salva neppure Winston Churchill.

Una società ha sempre tollerato qualche stupida evasione ideologica, ma nessuna può durare a lungo in una costante tormenta di bugie 24 ore su 24.

E chiunque avesse capito che stavamo vivendo un momento di follia buona soltanto per la vecchia Jane Fonda, che fa l’elogio del woke col pugno chiuso nei suoi ranch da venti milioni di dollari, sapeva che non avrebbe potuto durare a lungo la “grande rivoluzione culturale”, come la definisce Brice Couturier in un libro uscito in Francia. “Il fuoco comincia dalle università di Evergreen o Berkeley, piuttosto che da Pechino, Cuba, Mosca…, e come in passato plasma lo spirito di una generazione. È il rovesciamento a testa in giù di tutto ciò che ha reso grande la cultura dell’Occidente”.

E così eravamo finiti “tutti prigionieri del politicamente corretto”.

Nel 1964 il “corso di civiltà occidentale” era obbligatorio in tutte le università americane. Sessant’anni dopo, non lo offre più nessuna. Al suo posto hanno messo il DEI: diversità, equità e inclusione.