Cronache di ordinaria follia dal fronte occidentale
L'America "sovietica", il nuovo razzismo dell'antirazzismo, Germanistan, le foto di 80 cristiani decapitati, le profezie di Solzenicyn e di un filosofo sulla "putrefazione della ragione" e altro
Il termine “gerontocrazia” fu coniato nel 1828 da Jean-Jacques Fazy, un repubblicano svizzero, nel libro De la gérontocratie. Derise il fatto che, in termini politici, “la Francia è ridotta a sette-ottomila individui aventi diritto asmatici, gottosi, indeboliti e che aspirano solo all’ospizio”.
Per molto tempo, due grandi gerontocrazie furono la Chiesa Cattolica Romana e il Partito Comunista Cinese. A 75 anni, un vescovo deve rassegnare le dimissioni al Papa e nessun cardinale può votare in conclave oltre gli 80 anni. Queste regole furono introdotte nel 1970 in un’istruzione papale nota come “Ingravescentem Aetatem”. La regola non scritta del Partito Comunista Cinese, introdotta negli anni Novanta, prevede che i membri del Politburo vadano in pensione a 68 anni o più al momento del congresso, che si tiene ogni cinque anni.
Anche le gerontocrazie hanno capito che, oltre una certa età, non è bene lasciare il potere nelle mani della decadenza senile.
La Cina aveva visto la fine che aveva fatto la gerontocrazia sovietica.
E per irridere l’Unione Sovietica retta da dinosauri malati - Leonid Brezhnev (75 anni), Yuri Andropov (70 anni) e Konstantin Cernenko (73 anni) mentre nella Ddr c’era Honecker, in Bulgaria Zhikov, in Ungheria Kadar, in Romania Ceausescu e in Polonia Jaruzelski, insomma la senescenza del “socialismo reale” al completo - Ronald Reagan scherzava che i leader sovietici “continuavano a morire” davanti ai suoi occhi. Brezhnev, Andropov e Cernenko spirarono nel giro di tre anni. La salute del capo era un segreto di Stato. Quando non si poteva evitare di prendere atto pubblicamente della loro prolungata assenza sulla scena, qualcuno faceva sapere che il segretario aveva un “raffreddore”. Sebbene Reagan fosse il presidente più anziano mai entrato alla Casa Bianca - aveva 69 anni nel 1981 - gli Stati Uniti non tenevano il confronto con i sovietici quando si trattava di leader da casa di riposo. La classe dirigente sovietica era muta, impalpabile, di cera, una mano tremante che salutava sulla Piazza Rossa. Il paese era vicino allo zero dell'encefalogramma piatto. Abbandonata dalla vita, l'Urss nei giorni di Cernenko e Andropov era in preda all’autofagia. E di lì a poco sarebbe crollata.
Avanti veloce al 2024. La leadership degli Stati Uniti oggi è più decrepita di quella sovietica. Il Senato americano (dal latino senex, “vecchio”) assomiglia alla sala d’attesa di un neurologo geriatrico. Joe Biden ha 81 anni e se rieletto finirà a 86. Il suo predecessore e sfidante a novembre, Donald Trump, ne ha 78, anche se nel primo confronto televisivo in confronto sembrava un ragazzino (anche di Biden ora dicono che avesse il “raffreddore”). Due anni a discutere della salute di Vladimir Putin (cancro, pazzia e altro) e ora ci ritroviamo con un presidente degli Stati Uniti mentalmente e fisicamente “perso”.
“Il dibattito presidenziale di giovedì mi ha ricordato una vecchia barzelletta sovietica” scrive Sergey Radchenko sul Wall Street Journal di oggi. “Leonid Ilyich Brezhnev presiede l'apertura dei Giochi Olimpici a Mosca. ‘O-O-O-O-O’, dice Breznev. Un aiutante lo tira per il gomito: ‘Compagno Breznev, questi sono gli anelli olimpici. Il testo del discorso è qui sotto’. Breznev proiettava un’immagine di declino terminale mentre il vasto impero sovietico andava alla deriva per inerzia”.
“Un governo con un deficit permanente e un esercito gonfio. Un’ideologia fasulla promossa dalle élite. Cattiva salute tra la gente comune. Leader senescenti. Suona familiare? Siamo sovietici”. Così invece lo storico di Stanford Niall Ferguson racconta la grande crisi americana, assieme a Ross Douthat, la miglior firma del New York Times.
E a leggere sempre il Wall Street Journal c’è da pensare che Ferguson abbia ragione, al di là dell’età dei leader: nelle scuole della California si insegna “un misto di estremismo gender e idee neomarxiste”.
Se pensavate che il Ministero della Verità di George Orwell o il Ministero per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio dei Talebani fossero strani, dall’Australia arriva il “Segretariato per il cambiamento del comportamento maschile” dello stato ultra di sinistra di Victoria, Men’s Behavior Change parliamentary secretary. Per i woke, il maschio é un inutile idiota da rieducare.
Se i sondaggi-choc saranno confermati alle urne, sarà la fine dell’Inghilterra come la conosciamo. Alle elezioni del 4 luglio, il Labour potrebbe conquistare fino a 516 seggi su 630 (pari all’80 per cento del Parlamento), mentre i Conservatori verrebbero ridotti a un moncherino di 53 seggi. Sarebbe la più grande sconfitta della storia per il partito del premier Rishi Sunak e la più grande maggioranza di governo da cento anni. Lo stesso primo ministro non verrebbe rieletto e sarebbe la prima volta nella storia. Ogni sondaggio assegna ai laburisti una super-maggioranza con previsioni sempre oltre i 400 seggi. La super-maggioranza laburista avrebbe un margine di manovra così ampio da poter rimodellare a propria immagine lo stato, la società e le istituzioni, anche perché a Londra non esiste una Costituzione scritta e il primo ministro, con quei numeri, può fare quello che vuole. Il capo del Labour Starmer vuole una legge contro l’“islamofobia”. In pratica, la critica dell’Islam non sarà più legalmente protetta. E c’è chi teme per la libertà di parola in caso di stravittoria progressista. Già oggi, in Inghilterra la polizia può aprire un fascicolo criminale su una femminista che critica il gender. Per questo J.K. Rowling sul Times dice che “la sinistra ha tradito le donne”.
In Inghilterra intanto non si deve più usare l’espressione “minoranza etnica”. Ora si dice “maggioranza globale”. Anni a discutere di post-truth e ora applicano Orwell all’immigrazione. Alla London Metropolitan University invece basta dire “migrante illegale” (o “clandestino”): meglio “undocumented”, privo di documenti.
Eric Kaufmann è preoccupato e pubblica un libro, Taboo, per dire che il woke conquisterà l’Occidente.
“Centinaia di chiese in vendita mentre il Regno Unito si allontana dal Cristianesimo”, così titola il Telegraph. Sono state messe in vendita chiese, alcune risalenti al 1700, a partire dalle 35.000 sterline. “Sebbene gli edifici siano amati, non devono ostacolare il progresso”, dicono i chierici.
Ora chiamiamo “progresso” anche l’autodistruzione della Cristianità occidentale.
Le autorità tedesche hanno stabilito che l’immigrazione porterà oltre 9 milioni di persone in più a vivere in Germania entro il 2045. Come è possibile se le morti in Germania superano le nascite dal 1972? Da dove verranno questi “nuovi tedeschi”? In uno studio dell’Università di Friburgo si legge che le confessioni cristiane si dimezzeranno entro una generazione. Ed entro una generazione, secondo il Pew Forum, in uno scenario di costante immigrazione la popolazione islamica in Germania raggiungerà il 20 per cento del totale o 17 milioni. Sarà parità fra cristiani e musulmani. Allora la chiameranno “Germanistan”? Jens Spahn, uno dei capi della CDU tedesca, membro del Bundestag (dal 2002), ex segretario di Stato (dal 2015 al 2018) ed ex ministro (dal 2018 al 2021) sotto Angela Merkel, evoca un “terribile risveglio”. Il “paese potrebbe ribaltarsi”, dice Spahn. "Attualmente abbiamo 1.000 migranti che entrano in Germania in modo irregolare ogni giorno. Un migliaio ogni giorno, e molti di loro sono stati influenzati da questa cultura (Islam). È lì che sono cresciuti. Non è sparita solo perché hanno attraversato il confine. A mio parere, molte persone non erano consapevoli dell'entità del compito da svolgere quando centinaia di migliaia, o addirittura milioni, di persone vengono da noi da un'area culturale così caratterizzata. L'1 per cento della popolazione afghana mondiale vive in Germania. Sono stato in Afghanistan tre o quattro volte. A un certo punto ci troveremo in un tale pasticcio che altri potrebbero risolverlo in modo radicale. E io non lo voglio. Assolutamente no. Possiamo andare avanti così ancora per qualche anno, poi ci aspetta un terribile risveglio”.
Ha ragione Christopher Caldwell quando sul New York Times spiega che “il Trattato di Maastricht, l’accordo del 1992 su moneta, cittadinanza e libertà di movimento su cui si fonda l’attuale Unione Europea, è stato redatto per un mondo che stava scomparendo. Allora, solo una manciata di paesi più ricchi – tra cui Francia, Germania, Gran Bretagna e Paesi Bassi – registravano un’immigrazione significativa, e già la maggioranza ne era scontenta...
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