Complimenti multiculturalisti, siete riusciti a realizzare lo "straniero in patria"
"Il 34,62 per cento di tutti gli svedesi è immigrato di prima o seconda generazione". Un'inchiesta da brivido con cui tappezzare le redazioni dei giornali italiani e le aule del Parlamento
"Anziché portare alla fusione, la crisi migratoria sta portando alla fissione dell’Europa", scrisse cinque anni fa lo storico di Stanford Niall Ferguson. "Sono sempre più convinto che la crisi migratoria sarà vista dai futuri storici come l'ingrediente fatale che ha sciolto la Ue".
La Ue è sempre lì, ma la “fissione” è già avvenuta nella paese all’avanguardia del multiculturalismo, delle frontiere aperte e dell’accoglienza. Dal 1980, secondo l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, la metà di tutti i permessi di soggiorno concessi dalla Svezia - quasi 400.000 - sono andati a ricongiungere famiglie provenienti da varie aree geopolitiche disastrate. Molti di questi posti erano nel mondo islamico: Yugoslavia, Somalia, Siria, Iraq e Afghanistan i principali.
Nel 2014 l’allora premier Fredrik Reinfeldt invitò i concittadini svedesi ad "aprire i cuori" ai profughi di tutto il mondo: "Chiedo al popolo svedese di essere paziente e solidale, a lungo termine creeremo un mondo migliore in questo modo". Soltanto l’anno dopo, la Svezia avrebbe accolto 163.000 persone. L’equivalente del 1.6 per cento della popolazione totale. Come se l’Italia avesse lasciato entrare 600.000 migranti in un anno.
E così la famosa “terra del diritto di asilo” è finita con sobborghi dove oggi soltanto un abitante su dieci è svedese e all’Università di Lund accademici di origine egiziana come Sameh Egyptson pubblicano ricerche sul progetto di islamizzazione della società svedese attraverso cambiamenti demografici e culturali.
Ora la “nazione più generosa della terra” prende atto che al “mondo migliore” preferiva quello di prima e cambia direzione. A 180 gradi. Se si guarda alla Svezia come in un caleidoscopio, ruotando i tre specchi nel tubo, che futuro vediamo per l’Europa?
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